La natura giusprivatistica delle tecniche alternative di risoluzione delle controversie

Le problematiche connesse all’introduzione di procedimenti conciliativi nel nostro sistema non possono ridursi alla sola verifica della funzionalità del modello negoziale, ma devono ricomprendere una delicata indagine sulla compatibilità giuridica dei sistemi alternativi con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano e con quelli della Costituzione Repubblicana. In via generale la conciliazione può essere definita come uno strumento di composizione delle controversie rimesso alla volontà delle parti, con l’intervento di un terzo, finalizzato a provocare l’incontro delle volontà delle parti. La conciliazione non costituisce una figura negoziale a se, specificatamente disciplinata nel nostro ordinamento. Può essere inquadrata, a parere di chi scrive, come un negozio atipico di natura contrattuale, derivante dalla sintesi di diversi negozi, con il quale due o più soggetti, al termine di un procedimento che prevede l’intervento di un terzo, con il compito di agevolare lo svolgimento del negoziato, risolvono una controversia facendosi
delle concessioni, rinunzie e riconoscimenti. Naturale corollario della ricostruzione negoziale del fenomeno conciliativo è che a questo potranno applicarsi, in via analogica, molte delle disposizioni che regolano gli istituti negoziali ad esso paragonabili e potranno invocarsi i principi generali in tema di negozi giuridici e contratti. La conciliazione, nelle diverse forme in cui si manifesta, si colloca dunque in modo del tutto legittimo, all’interno dell’ordinamento, negli stessi limiti in cui i contratti possono liberamente statuire dei diritti delle parti contraenti. La libertà delle parti in conciliazione è quindi destinata a fermarsi fin dove può arrivare il potere di disposizione delle stesse.